A queste parole bisbigliate, il burattino, spaventato più che mai, saltò giù dalla groppa della cavalcatura, e andò a prendere il suo ciuchino per il muso.
E immaginatevi come restò, quando s’accorse che il suo ciuchino piangeva proprio come un ragazzo!
– Ehi, signor Omino, – gridò allora Pinocchio al padrone del carro – sapete che cosa c’è di nuovo? Questo ciuchino piange.
– Lascialo piangere: riderà quando sarà sposo.
– Ma che forse gli avete insegnato anche a parlare?
– No: ha imparato da sé a borbottare qualche parola.
– Povera bestia!..
– Non perdiamo il nostro tempo a veder piangere un ciuco. Rimonta a cavallo, e andiamo.
Pinocchio obbedì senza rifiatare. Il carro riprese la sua corsa: e la mattina, sul far dell’alba, arrivarono felicemente nel “Paese dei balocchi”.
Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi. I più vecchi avevano 14 anni: i più giovani ne avevano 8 appena. Nelle strade, un’allegria, un chiasso! Branchi di monelli dappertutto: chi giocava alle noci, chi alla palla, chi andava in velocipede: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria: chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi fischiava. Su tutte le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera, e su tutti i muri delle case si leggevano scritte col carbone delle bellissime cose come queste: viva i balocci! (invece di balocchi): non vogliamo più schole (invece di non vogliamo più scuole): abbasso Larin Metica (invece di l’aritmetica).
Pinocchio, Lucignolo e tutti gli altri ragazzi, che avevano fatto il viaggio coll’Omino, appena ebbero messo il piede dentro la città, si ficcarono subito in mezzo alla gran baraonda, e in pochi minuti diventarono gli amici di tutti. Chi più felice, chi più contento di loro?
– Oh! che bella vita! – diceva Pinocchio tutte le volte che per caso s’imbatteva in Lucignolo.
– Vedi, dunque, se avevo ragione? E dire che tu non volevi partire! Se oggi ti sei liberato dalla noia dei libri e delle scuole, lo devi a me, ai miei consigli, alle mie premure?
– È vero, Lucignolo! Se oggi io sono un ragazzo veramente contento, è tutto merito tuo.
Intanto era già da cinque mesi che durava questa bella cuccagna di baloccarsi e di divertirsi le giornate intere, senza mai vedere in faccia né un libro, né una scuola; quando una mattina Pinocchio, svegliandosi, ebbe una gran brutta sorpresa.
1. Выберите правильный вариант:
1. Pinocchio è andato a cavallo del Nibbio.
2. Pinocchio è andato a cavallo del Colombo.
3. Pinocchio è andato a cavallo della Rondine.
4. Pinocchio è andato a cavallo della Farfalla.
2. Подберите синонимы:
dorso ____________
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vergogna ____________
babbo ____________
brocca ____________
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ciuco ____________
3. Выберите нужный глагол:
Non ____ il nostro tempo a veder piangere un ciuco.
1. troviamo
2. cerchiamo.
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1. Difatti andò subito __ cercarlo __ casa, __ invitarlo __ colazione, e non lo trovò.
2. Tutti i suoi amici e compagni __ scuola dovevano essere invitati __ il giorno dopo __ una gran colazione __ casa __ Fata.
3. Intanto era già __ cinque mesi che durava questa bella cuccagna __ baloccarsi e __ divertirsi le giornate intere.
4. __ queste parole bisbigliate, il burattino, spaventato più che mai, saltò giù __ groppa __ cavalcatura, e andò __ prendere il suo ciuchino __ il muso.
5. Ответьте на вопросы:
1. Perché Pinocchio non ha dato una mano al carbonaio?
2. Perché il burattino ha prestato aiuto a Alidoro?
3. Perché Pinocchio ha diventato ciuchino?
4. Dove sono andati Pinocchio e Lucignolo?
5. Raccontare il testo.
Ответы:
1. Pinocchio è andato a cavallo del Colombo.
3. perdiamo
4. 1. a, a, per, alla. 2. di, per, a, in, della. 3. da, di, di. 4. a, dalla, della, a, per.
32. A Pinocchio gli vengono gli orecchi di ciuco, e poi diventa un ciuchino vero e comincia a ragliare
E questa sorpresa quale fu?
Ve lo dirò io, miei cari e piccoli lettori: la sorpresa fu che a Pinocchio, svegliandosi, gli venne fatto di grattarsi il capo; e nel grattarsi il capo si accorse…
Si accorse con suo stupore, che gli orecchi gli erano cresciuti più d’un palmo.
Voi sapete che il burattino aveva gli orecchi piccini. Immaginatevi dunque come restò, quando dovè toccar con mano che i suoi orecchi, durante la notte, erano allungati.
Andò subito in cerca di uno specchio, per potersi vedere: ma non trovando uno specchio, empì d’acqua la catinella del lavamano e vide quel che non avrebbe mai voluto vedere: vide, cioè, la sua immagine abbellita di un magnifico paio di orecchi asinini.
Cominciò a piangere, a battere la testa nel muro: ma quanto più si disperava, e più i suoi orecchi crescevano, crescevano e diventavano pelosi verso la cima.
Al rumore di quelle grida, entrò nella stanza una bella Marmotta, che abitava al piano di sopra: la quale gli domandò:
– Che cos’hai, mio caro casigliano?
– Sono malato, Marmotta mia, molto malato… e malato d’una malattia che mi fa paura! Te ne intendi tu del polso?
– Un pochino.
– Senti dunque se per caso avessi la febbre.
La Marmotta alzò la zampa destra davanti: e dopo aver tastato il polso a Pinocchio, gli disse sospirando:
– Amico mio, mi dispiace doverti dare una cattiva notizia!..
– Cioè?
– Tu hai una gran brutta febbre!
– E che febbre sarebbe?
– È la febbre del somaro.
– Non la capisco questa febbre! – rispose il burattino.
– Allora te la spiegherò io – soggiunse la Marmotta. – Sappi dunque che fra due o tre ore tu non sarai più né un burattino, né un ragazzo…
– E che cosa sarò?
– Fra due o tre ore, tu diventerai un ciuchino, come quelli che tirano il carretto e che portano i cavoli e l’insalata al mercato.
– Oh! povero me! – gridò Pinocchio pigliandosi con le mani tutt’e due gli orecchi, e tirandoli e strapazzandoli rabbiosamente.
– Caro mio, – replicò la Marmotta per consolarlo – che cosa ci vuoi tu fare? Oramai è destino. Oramai è scritto nei decreti della sapienza, che tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giochi e in divertimenti, debbano finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari.
– Ma davvero è proprio così? – domandò il burattino.
– Pur troppo è così! E ora i pianti sono inutili. Bisognava pensarci prima!
– Ma la colpa non è mia: la colpa è tutta di Lucignolo!..
– E chi è questo Lucignolo?
– Un mio compagno di scuola. Io volevo tornare a casa: io volevo essere ubbidiente: io volevo seguitare a studiare e a farmi onore… ma Lucignolo mi disse: – “Perché vuoi tu annoiarti a studiare? perché vuoi andare alla scuola?… Vieni con me, nel Paese dei balocchi: lì ci divertiremo dalla mattina alla sera e staremo sempre allegri”.
– E perché seguisti il consiglio di quel falso amico? di quel cattivo compagno?
– Perché?… perché io sono un burattino senza giudizio… e senza cuore. Oh! Se avessi avuto un zinzino di cuore, non avrei mai abbandonata quella buona Fata, che mi voleva bene come una mamma e che aveva fatto tanto per me!.. e a quest’ora non sarei più un burattino… ma sarei invece un ragazzino ammodo, come ce n’è tanti! Oh!.. ma se incontro Lucignolo, guai a lui!
E fece l’atto di volere uscire. Ma quando fu sulla porta, si ricordò che aveva gli orecchi d’asino. Prese un gran berretto di cotone, e, ficcatoselo in testa.
Poi uscì: e si dette a cercare Lucignolo. Lo cercò nelle strade, nelle piazze, in ogni luogo: ma non lo trovò. Ne chiese notizia a quanti incontrò per la via, ma nessuno l’aveva veduto.
Allora andò a cercarlo a casa: e arrivato alla porta, bussò.
– Chi è? – domandò Lucignolo di dentro.
– Sono io! – rispose il burattino.
– Aspetta un poco, e ti aprirò.
Dopo mezz’ora la porta si aprì: e figuratevi come restò Pinocchio quando, entrando nella stanza, vide il suo amico Lucignolo con un gran berretto di cotone in testa, che gli scendeva fin sotto il naso.
Alla vista di quel berretto, Pinocchio sentì quasi consolarsi e pensò subito dentro di sé:
– Che l’amico sia malato della mia medesima malattia? Che abbia anche lui la febbre del ciuchino?…
E facendo finta di non essersi accorto di nulla, gli domandò sorridendo:
– Come stai, mio caro Lucignolo?
– Benissimo: come un topo in una forma di cacio parmigiano.
– Lo dici proprio sul serio?
– E perché dovrei dirti una bugia?
– Scusami, amico: e allora perché tieni in capo codesto berretto di cotone che ti copre tutti gli orecchi?
– Me l’ha ordinato il medico, perché mi son fatto male a un ginocchio. E tu, caro Pinocchio, perché porti codesto berretto di cotone?
– Me l’ha ordinato il medico, perché mi sono sbucciato un piede.
– Oh! povero Pinocchio!..
– Oh! povero Lucignolo!..
A queste parole tenne dietro un lunghissimo silenzio, durante il quale i due amici non fecero altro che guardarsi fra loro in atto di canzonatura.
Finalmente il burattino, con una vocina melliflua, disse al suo compagno:
– Mio caro Lucignolo: hai mai sofferto di malattia agli orecchi?
– Mai!.. E tu?
– Mai! Per altro da questa mattina in poi ho un orecchio che mi fa spasimare.
– Ho lo stesso male anch’io.
– Anche tu?… E qual è l’orecchio che ti duole?
– Tutti e due. E tu?
– Tutti e due. Che sia la medesima malattia?
– Ho paura di sì.
– Vuoi farmi un piacere, Lucignolo?
– Volentieri! Con tutto il cuore.
– Mi fai vedere i tuoi orecchi?
– Perché no? Ma prima voglio vedere i tuoi, caro Pinocchio.
– No: il primo devi essere tu.
– No, carino! Prima tu, e dopo io!
– Ebbene, – disse allora il burattino – facciamo un patto da buoni amici.
– Sentiamo il patto.
– Leviamoci tutti e due il berretto nello stesso tempo: accetti?
– Accetto.
– Dunque attenti!
E Pinocchio cominciò a contare a voce alta:
– Uno! Due! Tre!
Alla parola tre! i due ragazzi presero i loro berretti di capo e li gettarono in aria.
E allora avvenne una scena, che parrebbe incredibile, se non fosse vera. Avvenne, cioè, che Pinocchio e Lucignolo, quando si videro colpiti tutti e due dalla medesima disgrazia cominciarono ad ammiccarsi i loro orecchi cresciuti, e dopo mille sguaiataggini finirono col dare in una bella risata.
E risero, risero, risero, poi Lucignolo tutt’a un tratto si chetò, e barcollando e cambiando di colore, disse all’amico:
– Aiuto, aiuto, Pinocchio!
– Che cos’hai?
– Ohimè! non mi riesce più di star ritto sulle gambe.
– Non mi riesce più neanche a me – gridò Pinocchio, piangendo.
E mentre dicevano così, si piegarono tutti e due carponi a terra e, camminando con le mani e coi piedi, cominciarono a girare e a correre per la stanza. E intanto che correvano, i loro bracci diventarono zampe, i loro visi si allungarono e diventarono musi, e le loro schiene si coprirono di un pelame.
Ma il momento più brutto e più umiliante fu quello quando sentirono spuntarsi di dietro la coda. Vinti allora dalla vergogna e dal dolore, si provarono a piangere e a lamentarsi del loro destino.
Non l’avessero mai fatto! Invece di lamenti, mandavano fuori dei ragli asinini, facevano tutti e due in coro: j-a, j-a, j-a.
In quel frattempo fu bussato alla porta, e una voce di fuori disse:
– Aprite! Sono l’Omino, sono il conduttore del carro che vi portò in questo paese. Aprite subito, o guai a voi!
33. Diventato un ciuchino vero, è portato a vendere, e lo compra il Direttore di una compagnia di pagliacci, per insegnargli a ballare e a saltare i cerchi: ma una sera azzoppisce e allora lo ricompra un altro, per far con la sua pelle un tamburo
Vedendo che la porta non si apriva, l’Omino la spalancò con un violentissimo calcio: ed entrato nella stanza, disse col suo solito risolino a Pinocchio e a Lucignolo:
– Bravi ragazzi! Avete ragliato bene, e io vi ho subito riconosciuti alla voce. E per questo eccomi qui.
A tali parole, i due ciuchini rimasero mogi mogi[131], colla testa giù, con gli orecchi bassi e con la coda fra le gambe.
Da principio l’Omino li lisciò, li accarezzò, li palpeggiò: poi, tirata fuori la striglia, cominciò a strigliarli per bene. E quando a furia di strigliarli, li ebbe fatti lustri come due specchi, allora messe loro la cavezza e li condusse sulla piazza del mercato, con la speranza di venderli e di beccarsi un discreto guadagno.
E i compratori, difatti, non si fecero aspettare.
Lucignolo fu comprato da un contadino, e Pinocchio fu venduto al Direttore di una compagnia di pagliacci e di saltatori di corda, il quale lo comprò per ammaestrarlo e per farlo poi saltare e ballare insieme con le altre bestie della compagnia.
E ora avete capito qual era il bel mestiere che faceva l’Omino? Questo brutto mostriciattolo andava con un carro a girare per il mondo: strada facendo raccoglieva con promesse e con moine tutti i ragazzi, che avevano a noia i libri e le scuole: e dopo averli caricati sul suo carro, li conduceva nel “Paese dei balocchi” perché passassero tutto il loro tempo in giochi, in divertimenti. Quando poi quei poveri ragazzi diventavano tanti ciuchini, allora tutto allegro e contento s’impadroniva di loro e li portava a vendere sulle fiere e su i mercati. E così in pochi anni era diventato milionario.
Quel che accadesse di Lucignolo, non lo so: so, per altro, che Pinocchio andò incontro a una vita durissima.
Quando fu condotto nella stalla, il nuovo padrone gli empì la greppia di paglia: ma Pinocchio, dopo averne assaggiata, la risputò.
Allora il padrone, brontolando, gli empì la greppia di fieno: ma neppure il fieno gli piacque.
– Ah! non ti piace neppure il fieno? – gridò il padrone. – Lascia fare, ciuchino bello, che se hai dei capricci, penserò io a levarteli!..